Un eterno don Chisciotte, racconto di Marinella Andrizzi

 

Quando ero piccola, ricordo spesso, i tanti racconti che mio nonno inventava. A me che faticavo a stare sulle gambe, quale menestrello senza riposo, raccontava storie di fate, gnomi e piccoli personaggi che individuavo nei miei giocattoli, nei pupazzi ancora gelosamente conservati. Crescendo un po’, anche le sue invenzioni si adeguarono alla mia nuova capacità infantile di apprendere. Una ridda di damigelle, principi innamorati, contendenti perfidi e draghi, si avvicendarono in quei pomeriggi e serate altrimenti monotone. Uno stupendo nonno, sempre pronto a sognare per la sua unica nipotina, mille nuove avventure ed amori difficilissimi, se non impossibili. Principi d’ogni colore, non solo azzurri, tanto per rompere la tediosa ripetitività, si rincorrevano nella mia testolina, inseguiti dalla voce dolce e suadente di quel magico narratore. Persino molte varianti di Biancaneve e Cenerentola trovarono ragion d’essere nella fervida immaginazione dell’infaticabile inventore che, qualche volta, dovevo essere io a risvegliare, per fargli continuare il racconto che, sul più bello, s’interrompeva per l’improvvido arrivo di Morfeo. Anche al parco, vicino casa, trainandomi sul mio bel triciclo rosso, pretendevo storie di lupi cattivi e bambine in pericolo, regolarmente salvate da giovani e bellissimi cacciatori o combattenti cavalieri coraggiosi. Dove, per incanto, divenivo proprio io l’eroina, la principessina da salvare ed amare. Oggi mi chiedo a cosa servissero veramente quelle favole. Cose assurde, invenzioni fantasiose, impossibili e contro ogni logica, senza il minimo legame con la diuturna realtà. Mi ritrovo sola e quasi grande, il 14 Gennaio compirò ben 16 anni (prossima alla vecchiaia), eppure vorrei che il mio compleanno fosse allietato ancora una volta dalla presenza di quel magico e vecchio cantore, il quale, purtroppo, smise per sempre di inventar storie, poco dopo il mio settimo genetliaco. Giustamente, mi domando: perché mi mancano tanto quelle assurdità così prive di fondamento? Si possono assommare sogno e realtà? La fantasia può avere una qualsiasi valenza positiva nella vita reale? Mi capita tra le mani un vecchio libro di Cervantes: “Don Chisciotte della Mancha”. Lo avevo già letto ma, dopo anni, tutto assume una differente luce. Riscopro la bellezza della sublimazione della fantasia. Un servo che rappresenta la realtà, prosaica e quotidiana, pur tuttavia indispensabile. Un vecchio ed improbabile cavaliere che prende le sembianze dell’immaginifico, la parte più nobile d’ogni essere umano, la materializzazione del sogno e di tutto ciò che fa parte dei ricordi e del passato da cui apprendere per poter capire. Una vita che non è come è, ma che, attraverso arbitrarie parentesi, originate dall’indeterminabile labirinto onirico dell’io più recondito, trasformano la vita in qualcosa che è come si vorrebbe che fosse. Un cavaliere, il quale, con immani sacrifici, attraverso l’immaginazione, riesce a sconfiggere il peggior nemico: se stesso! La morte lo prenderà alla fine del suo immane duello, al raggiungimento dello scopo. Un’epoca che termina il suo lungo volo, cedendo il passo alla nuova. Così com’è e dovrà essere la vita. Chiuderà per sempre quegli occhi che, ad un distratto lettore, sembreranno quelli di un povero pazzo incapace di vedere ed analizzare la realtà. Invece, occhi di un uomo indomito con se stesso e risoluto contro l’antagonista più irriducibile ed avverso: il proprio destino! Qual è la morale di questo mio pensiero? Adesso, grazie a Cervantes, so a cosa dovevano servire quei racconti, quelle adorabili bugie. Ora, stringendo tra le mani il meraviglioso e, tutt’altro che vecchio libro, posso addormentarmi serena, abbandonandomi a sogni e ad immaginazione; senza più paure, incertezze e timori, sapendo che, a ben guardare, mio nonno sarà lì con me, il prossimo 14 Gennaio e tutti gli altri giorni a seguire, anche senza la vecchia e rugginosa armatura. Di certo, assieme alla sempre più bella Dulcinea. Ovvero: la sua fantasia! Fantasia che mi ha saggiamente lasciato in eredità, non disgiunta da un semplice e pragmatico buon servitore, sempre pronto a ricondurre, chi si solleva troppo nel sogno, sulla terra ferma!

Marinella Andrizzi

Ho vinto il primo premio per narrativa e il secondo per poesia al concorso “Poeti per caso” ediz. 2006, con il racconto: “La bambola di pezza” e la poesia: “L’alba dell’anno dopo”. Finalista al concorso “Alla luce delle Mainarde”, ediz. 2005, con il racconto: “Un grande viaggio. (Una finestra per amica)”. Vinsi anche un concorso di poesie alle medie, ma non ricordo più come si chiamava. Grazie!


By admin

Related Post